
Post del Comitato Direttivo
Chi decide di pace e di guerra in democrazia? L’operazione trumpiana “Midnight Hammer”
Il conflitto bellico in corso tra Israele e Iran è giunto a un decisivo punto di svolta a seguito della c.d. operazione “Midnight Hammer” (tradotto “Martello di mezzanotte”) che ha portato alla distruzione dei tre principali siti nucleari iraniani (quelli di Fordow, Natanz ed Esfahan). Si è trattato, per la precisione, di un attacco a sorpresa del tutto eccezionale ordinato da un Donald Trump visibilmente indispettito dalla mancata accettazione – nel termine assegnato – delle trattative di pace da parte dell’Iran.
Questi fatti, così tristemente dolorosi, portano a riflettere sul periodo di estrema fragilità che stanno attraversando le democrazie occidentali e a interrogarsi sul perché e sul percome comuni e liberi cittadini si ritrovino, nel nome dello Stato cui appartengono, parte in causa in guerre che stanno marcando a fuoco i tempi d’oggi (il riferimento è, va da sé, ai conflitti tra Russia-Ucraina; Palestina-Israele-Iran).
Rispondere a questo interrogativo, dando una spiegazione sensata e comprensibile ai cittadini, è per alcuni (specie quelli che si attestano sul piano tecnico-giuridico) tutto sommato non così complicato, ma – in realtà (cioè, se si vive e si osserva ciò che ci circonda per quel che è) – diventa quasi impossibile. E, invero, la difficoltà di fornire una giustificazione “giusta” alle guerre appare ancora più plastica se si leggono alcune significative parole di Valerio Onida scritte nel 1999: “I costituzionalisti, dopo gli sconvolgimenti materiali e ideali prodotti dalla prima e ancor più dalla seconda guerra mondiale, avevano in un certo senso «chiuso i conti» con il fenomeno «guerra» sulla scorta dei principi dell’articolo 11 della Costituzione: ripudio della guerra (salva la legittima difesa) e accettazione dell’autorità sovranazionale, garanzia di pace e giustizia, come limite alla sovranità statale” (V. Onida, Guerra, diritto e Costituzione, in Il Mulino, 5/1999, 958-962; il testo è disponibile nella sezione “Scritti simbolo” del nostro sito). Un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico (forse anche una promessa) che, tuttavia, vacilla perché la sensazione oggi è quella che l’ago della bilancia si sia decisamente spostato in favore della guerra e non della pace.
Tornando all’operazione “Midnight Hammer”, non si deve a mio avviso trascurare il fatto che l’attacco non ha ricevuto autorizzazione preventiva da parte del Congresso statunitense, sollevando dubbi sulla sostanziale violazione dell’Articolo I della Costituzione americana (che assegna al Congresso il potere esclusivo di dichiarare guerra) e sul mancato rispetto del War Powers Resolution del 1973 (che prevede la possibilità per il Presidente di inviare truppe solo in caso di attacco o minaccia imminente, con il dovere di informare il Congresso entro quarantotto ore dall’inizio dell’azione militare e l’obbligo di ritirare le truppe entro 60 giorni – più 30 giorni per il rientro – se il Congresso non autorizza formalmente l’intervento). Nonostante l’amministrazione Trump sostenga di aver informato il Parlamento entro i termini previsti, il dibattito giuridico rimane acceso e, sul piano costituzionale, fa emergere quella che sembra essere una frattura – anche in tema di guerra – tra il potere esecutivo, sempre più assertivo e propenso al rapido decisionismo, e i limiti costituzionali posti dal Legislatore al Presidente, con conseguente significativo indebolimento delle istituzioni parlamentari.
Di conseguenza, la problematica appare chiara: se il popolo è rappresentato dai suoi parlamentari e la democrazia oggi consente all’esecutivo di agire senza una esplicita autorizzazione (o di contare sempre e comunque su un Parlamento ad esso prono) il consenso diventa opaco e fumoso. Ecco perché, nonostante il chiaro fondamento costituzionale del ripudio della guerra e della necessità di un serrato controllo parlamentare, rimane difficile capire chi decida per davvero se stare fuori o se stare dentro i conflitti.
A questo punto, rispetto ai fatti richiamati, è inevitabile domandarsi: ma se Trump non avesse voluto l’attacco? Se Trump decidesse di proseguire negli attacchi? Se Trump inasprisse il conflitto e facesse valere l’asserito primato statunitense a qualsiasi prezzo?
Sono tutte domande, crediamo, legittime e che la gente comune continua a porsi mentre davanti agli occhi scorrono le immagini truci, i fiumi di sangue e i bagliori nella notte prodotti dalle bombe. Attendiamo, ancora una volta, che la democrazia riprenda a funzionare dai Parlamenti.