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Ricordando Giovanna Ichino

Giovanna Ichino e Alba Chiavassa nel carcere di Bollate. Foto di Margherita Lazzati
Il 14 gennaio è mancata Giovanna Ichino, lasciando un vuoto difficilmente colmabile, come scrive la collega e amica di una vita Alba Chiavassa: Giovanna Ichino era forza, vitalità, efficienza, ma anche dolcezza, disponibilità, affettività. Ad onta del dibattito sulla separazione delle carriere, aveva svolto praticamente tutte le funzioni giurisdizionali, in varie sedi e nei diversi uffici: dalla pretura (a Rho) al tribunale di Milano, GIP e procura, e poi alla Corte d’Appello, anche d’Assise (di cui è stata presidente). E in queste funzioni è stata sempre stimata ed apprezzata da parte di tutti gli operatori, in primis gli avvocati (si vedano qu sotto i ricordi di due Avvocati del Foro di Milano, Davide Steccanella e Piergiorgio Weiss, ndr). Giovanna ha avuto importanti ruoli istituzionali, come la partecipazione al comitato pari opportunità in Tribunale (dove si e occupata delle questioni femminili in Magistratura e nell’Avvocatura) o al Consiglio giudiziario di Milano e ancora alla Scuola superiore della magistratura, sotto la direzione del rimpianto Valerio Onida: Giovanna e Valerio erano legati da una grande amicizia, rafforzata nel corso di lunghe e spesso faticose battaglie comuni, e ore di lavoro tessute insieme per occuparsi del carcere. Giovanna, anche in condizioni precarie di salute, ha continuato imperterrita nell’opera di volontariato intrapresa a Bollate con la creazione dello sportello giuridico e poi estesa al carcere di S. Vittore con le professoresse Claudia Pecorella e Melissa Miedico.
Riportiamo qui di seguito il ricordo degli Avvocati Steccanella e Weiss e il link all’articolo di Maria Giulia Civinini su Questione Giustiza.
Davide Steccanella, Avvocato del Foro di Milano
La Giudice in bicicletta
Quando per parecchi anni ho abitato vicino a lei, in zona Pagano, mi capitava spesso di vedere una signora bionda, molto elegante, che pedalava in bicicletta verso la nostra comune destinazione giornaliera, il Tribunale di Milano, io diretto in motorino verso il mio ufficio e lei verso il suo all’interno del Palazzo, io avvocato e lei magistrato. Tribunale di Milano dal quale non mi pare si sia mai mossa nel corso della sua lunga esperienza professionale, in gran parte da giudicante, anche se non mancò di rivestire la funzione di PM negli anni in cui in quel luogo succedevano tante cose, non tutte belle, ma almeno succedevano, come tante altre cose che succedevano nella nostra città. Non eravamo amici, ci si dava del Lei, ma non è mai mancato, credo, l’apprezzamento reciproco, fermi restando i rispettivi e diversi ruoli, come sarebbe bello sempre accadesse in qualsiasi luogo di lavoro e non di culto, fino a quando, raggiunta la pensione, non l’ho più incontrata. Che fosse anche un bravo magistrato non devo dirlo io e mi interessa poco, come poco rileva un episodio di parecchi anni fa che creò tra di noi un certo malumore da parte sua, quando la mia proverbiale intemperanza mi portò a criticare pubblicamente la sua gestione di un processo di appello e un giornalista riprese la notizia per scrivere un articolo che nulla c’entrava con quel fatto, ma poi la cosa rientrò, e tutto si risolse in breve tempo, come ancora mi viene da dire, sarebbe bene succedesse sempre. Ho di Lei il ricordo di due momenti in cui, in qualche modo portò un po’ di luce in quel luogo spesso cupo e sordo quale è quello dove ogni giorno si determina il destino di esseri umani, coi suoi modi garbati e la dolcezza che aveva nello sguardo e nel timbro di voce, gentile, femminile ma autorevolmente apprezzato. La prima volta risale a più di 40 anni fa, quando misi per la prima volta piede in Tribunale come carabiniere ausiliario addetto alla scorta dei detenuti che prelevavamo da quel vero e proprio inferno di San Vittore per condurli a giudizio. In quella situazione orrenda di prigionieri in gabbia e gente distratta, lei presiedeva uno dei tanti collegi e mi colpì la sua diversità umana da tutto il resto, quell’aula “sorda e grigia” non le modificava i tratti, anche qui come dovrebbe sempre succedere. La seconda accadde tantissimi anni dopo, non molto tempo fa, quando me la trovai a decidere le sorti di un mio assistito che i media avevano trasformato in un mostro e nei confronti del quale trovavo insormontabili difficoltà ad ottenere il rispetto dei minimali diritti che il mio mestiere mi impone di perseguire. Non era tenuta a farlo perché oggetto della udienza era altro, eppure volle ugualmente inserire nel provvedimento finale un inciso che stabiliva che nei confronti del mio assistito non si poteva applicare l’osceno regime di detenzione speciale meglio noto come il famigerato 41 bis e fu solo grazie a quell’inciso che con immensa fatica e molti mesi di attesa riuscii ad ottenere una declassificazione del detenuto, rivelatasi a tal punto giusta da scatenare le ire del noto Delmastro, quello che prova “intima gioia” a togliere il respiro ai carcerati. Lei non era così, Lei era una bella persona, prima ancora che un bravo magistrato. Un saluto speciale a Giovanna Ichino, la bella signora in biciletta, da un avvocato del Foro di Milano.
Piergiorgio Weiss, Avvocato del Foro di Milano
Un Magistrato di grandissima umanità
Mi è capitato di essere l’avvocato di parte civile in un processo con Giovanna come presidente della corte di assise. Riporto l’estratto di un articolo che narra di un episodio accaduto durante quel processo che secondo me ben descrivere chi era lei “L’esperto giudice Giovanna Ichino ne ha viste tante ma un processo così mai. Osman Matammud, 22 anni, somalo, viene accusato di avere sequestrato centinaia di connazionali in un campo da lui gestito in Libia, ucciso quattro persone e stuprato decine di donne con modalità di particolare ferocia. Oggi, chiamata dalla difesa, è venuta a deporre la moglie dell’imputato che vive a Roma e non lo vede da anni. Con sé ha una bimba coi codini di 4 anni. Mentre la mamma testimonia per due ore davanti alla Corte d’Assise, la piccola passa il tempo disegnando in una stanza adiacente. Alla fine dell’udienza, il legale di Matammud, l’avvocato Gianni Rossi, chiede alla presidente Ichino se è possibile un breve saluto dalla gabbia dove siede il suo assistito tra Matammud, la moglie e quella bimba che è la figlia del ragazzo e lui non ha mai visto prima d’ora. Il magistrato si spinge oltre con un gesto definito dall’avvocato Rossi “di grandissima umanità”. Va via dall’aula assieme agli altri giudici disponendo che le sbarre si aprano. La bimba può così abbracciare e riempire di baci per la prima volta il suo papà. Per lei l’uomo indicato dalla Procura come un aguzzino e che per il suo avvocato è la vittima innocente di un conflitto tra clan è solo il papà di cui la mamma le ha parlato per tanto tempo. Dieci minuti tra gli sguardi inteneriti di tutti i presenti in un’aula di Tribunale illuminata da una presenza infantile, come mai accade (di regola i minori non possono entrare). La gabbia si chiude; ma un agente della polizia penitenziaria, vedendo la bambina esitare ad andarsene, decide di spalancarla per l’ultima volta: “Dai, vai a salutare il tuo papà”. E lei corre.”
Maria Giuliana Civinini, già presidente del Tribunale di Pisa, su Questione giustizia
https://www.questionegiustizia.it/articolo/con-giovanna-nella-testa-e-nel-cuore