
Riflessioni ad alta voce
La Repubblica come scelta del Popolo e patto costituente per il futuro
Marco Ladu*
Le celebrazioni civili non devono mai essere intese quali meri rituali di forma, né semplici ricorrenze da calendario. Si tratta, piuttosto, di importanti momenti collettivi in cui una comunità si ri-conosce – nel senso di conoscersi nuovamente – e ricorda – nel senso di conservare nella propria memoria (che per gli antichi aveva sede, non a caso, nel cuore: cor, cordis) – le proprie radici a fondamento di quel patto civile che ha ispirato il senso dello stare insieme in società. E, al contempo, celebrare significa dare forma pubblica alla memoria, ma anche ri-affermare valori condivisi che orientano il presente e il futuro.
La Festa della Repubblica italiana, che ricorre il 2 giugno di ogni anno, è dunque una di queste ricorrenze: essa testimonia non solo la memoria di un passaggio storico — con il referendum istituzionale del 1946 che segnò, difatti, la fine della monarchia — ma il simbolo della nascita di una nuova idea di Stato, fondata sulla partecipazione democratica, sul pluralismo, sulla solidarietà e sull’eguaglianza dei cittadini.
La Repubblica, in questa prospettiva, rappresenta il modo in cui si configura il rapporto tra istituzioni e cittadini, tra potere autoritativo e società civile. Con la Repubblica, il potere non discende più dall’alto, per eredità dinastica o per investitura regale, ma si forgia dal basso perché incarnato nella sovranità popolare. Ed è l’esercizio di questa sovranità che consente di investire le istituzioni che ci rappresentano, nel prisma di un pedissequo rispetto di regole e principi costituzionali, in alcun modo e da alcuno invalicabili (art. 1 Cost.). È il popolo, quindi, ad aver determinato il 2 giugno del 1946 questo orizzonte ed è sul solco di questa scelta fondamentale per l’ordinamento che, due anni dopo (nel 1948), troverà collocazione la Costituzione repubblicana: così ha preso forma e sostanza – giuridica e politica – la scelta di affermare la Repubblica italiana.
Non va quindi mai dimenticato che la nascita della Repubblica, il 2 giugno del 1946, fu frutto di una scelta popolare espressa attraverso il referendum: uno strumento di partecipazione diretta dei cittadini che ha consentito al Popolo italiano di determinare l’assetto istituzionale del proprio Stato. È dunque paradossale – e per non dire alquanto grave – che proprio in prossimità del voto referendario dell’8 e 9 giugno prossimi, su temi cruciali come il lavoro e la cittadinanza, alcune alte cariche dello Stato abbiano pubblicamente invitato il corpo elettorale all’astensione. Un simile atteggiamento non solo contrasta con il principio di leale osservanza della Costituzione e all’onore richiesto a chi ricopre cariche pubbliche (si veda, in primis, il disposto dell’art. 54 Cost.), ma rischia di configurare persino una violazione dell’art. 98 del D.P.R. 361/1957, che sanziona l’induzione all’astensione come fattispecie penalmente rilevante. In un ordinamento che trae la propria legittimazione dalla sovranità popolare e che pone il diritto-dovere di voto al centro dei rapporti politici (art. 48 Cost.), ogni tentativo di disincentivare la partecipazione al voto rappresenta un vulnus al patto repubblicano e un impoverimento del dibattito democratico: astenersi significa sottrarsi alla dialettica poiché chi si astiene- in occasione di un referendum – non deve sostenere le ragioni del “sì” o quelle del “no” e rinuncia a priori ad affrontare nel merito questioni che invece 500.000 elettori hanno ritenuto rilevanti, tanto da attivarsi per produrre l’eliminazione di norme che ritengono “ingiuste” (utilizzando, quindi, lo strumento ad essi direttamente riconosciuto dall’art. 75 Cost.).
E quale migliore occasione del 2 giugno per ricordare che la nostra è una Repubblica fondata su alcuni principi e non altri (e qui sta il significato profondo dell’opzione costituente): il lavoro, la solidarietà, la giustizia sociale, la pace e – fra tutti – la libertà e l’uguaglianza che ci ricordano come la diversità non debba mai portare a limitazioni ingiustificate e a discriminazioni illegittime, ma a valutare attentamente forme e modi di tutela che di questa diversità riconoscano il valore.
Tali principi occorre sempre riaffermarli, praticarli e difenderli: anche per questo il 2 giugno è una chiamata civile al riconoscersi parte di un progetto costituzionale vivo, che va coltivato da ciascuno, tenendo sempre a mente che la Repubblica non è un concetto astratto, ma la Repubblica siamo noi, con le nostre azioni, i nostri pensieri e le nostre scelte. In particolare queste ultime hanno sempre un peso politico e una collocazione o dentro o fuori quel grande progetto civile che si chiama Costituzione.
*Professore associato di diritto costituzionale e pubblico presso E-Campus