
Riflessioni ad alta voce
Una lettera di Valerio sui danni provocati dalla finanza
Pippo Ranci*
Nota della redazione: Pippo Ranci riprende e commenta una lettera che il 16 marzo 2020 Valerio Onida aveva indirizzato a Beniamino Piccone, docente di finanza all’università LIUCC e attivo nella gestione dei patrimoni, amico ed estimatore di Valerio. Piccone, nel marzo 2020 aveva scritto una cronaca (“7 giorni di ordinaria follia sui mercati”) della turbolenza finanziaria nel periodo della pandemia da Covid-19, pubblicandola su Econopolis, sito di consulenza finanziaria.
Di seguito riportiamo il commento introduttivo di Pippo Ranci seguito dalla lettera di Valerio e da un’osservazione di Fabrizio Onida.
Commento introduttivo
Indignazione e proposta
Valerio descrive, con la lucidità che gli è consueta, una situazione cui tendiamo ad assuefarci e che invece a ben guardare manifesta la sua incredibile irrazionalità. Egli esprime la sua indignazione per la finanza contemporanea, che pone la ricerca del profitto come obiettivo anziché strumento per un buon funzionamento dell’economia; che con la sua volubilità provoca un’instabilità a volte disastrosa dell’economia reale.
Non si ferma all’indignazione, esprime il desiderio di vedere una reazione e cerca una via d’uscita, avanzando proposte nel campo dell’azione pubblica, ispirandosi alla Costituzione, che indica la preziosa ma limitata funzione della finanza nel campo dell’economia.
Un orientamento maturato da tempo
Ricordo più di una discussione con Valerio sul tema. Soprattutto quella di una lunga serata a Roma, nel suo modesto alloggio presso il palazzo della Corte Costituzionale, durante il suo mandato. E poi a Milano più volte nel primo ventennio del secolo, prima di questa lettera che è fortuna aver ritrovato.
Non posso dimenticare la sua descrizione di una finanza che induce tanti giovani a distrarre le loro energie dagli ideali o anche semplicemente dal compito naturale di produrre qualcosa di utile a qualcuno, e li sospinge invece a sprecarle in giornate lunghissime di accanita ossessiva lettura dei minuscoli movimenti di numeri in uno schermo, al solo scopo di cogliere il momento in cui si forma una piccola differenza di valori entro la quale si possa scaraventare un capitale per un acquisto al livello minore e una vendita al maggiore, generando un profitto che nulla produce se non arricchimento di uno a scapito di un altro.
Anche se la frenesia scatenata dalla bolla finanziaria di quel primo decennio del secolo, che esercitò su tanti giovani quella seduzione patologica che Valerio denunciava con giusto sdegno, si è spenta dopo lo scoppio della bolla nel 2008, i problemi e i rischi rimangono.
Un messaggio ancora attuale
Quelle discussioni mi imbarazzavano perché ero io l’economista che avrebbe dovuto trovare la via d’uscita, e mi sentivo incapace di andare oltre le generiche esortazioni. Mi rendevo ben conto che il mondo dell’economia globalizzata e della finanza ipertrofica è ormai lontano da quello che appariva ai costituenti; che per gli enormi investimenti necessari alla crescita delle industrie e delle opere pubbliche, e anche per le esigenze dei milioni di piccole imprese brulicanti nel mondo, si sono formati flussi diversificati in tantissimi modelli, che raccolgono i risparmi e prima di incanalarli verso i vari utilizzi provvedono a distribuire i rischi creando strumenti o titoli che devono poter essere scambiati; che tutto ciò avviene in mercati soggetti a tante normative nazionali diverse ma al tempo stesso intercomunicanti nel mondo; che questa rete di comunicazione tra flussi è preziosa per la collaborazione mondiale, anche inconsapevole, tra operatori, ma è anche capace di rendere vane le decisioni di un singolo governo.
Costruire una risposta efficace alle patologie che risultavano evidenti ai nostri occhi era ed è un compito molto complesso, che richiede molta analisi e molta pazienza per sperimentare medicine nuove. Ma rinunciarvi non è possibile.
* Professore (in quiescenza) di Politica economica nella Facoltà di Scienze Bancarie Finanziarie e Assicurative dell’Università Cattolica di Milano
Il testo della lettera di Valerio a Beniamino Piccone
Caro Beniamino,
sono ignorante di economia e di finanza, come la maggior parte dei miei simili. Ma osservando ciò che succede mi convinco sempre di più che la pronunciata finanziarizzazione dell’economia e la libertà (sfrenata) dei “mercati” finanziari sono una sciagura per il nostro mondo.
Il mercato è lo scambio fra offerta e domanda di beni o di servizi. Se l’offerta cala e la domanda sale, i prezzi aumentano; se l’offerta cresce e la domanda cala, i prezzi diminuiscono. Anche nel mercato dei beni e dei servizi ci sono e ci possono essere pratiche speculative da controllare e combattere (incette di beni per far crescere il prezzo; vendite sotto costo per conquistare situazioni di monopolio e poi vendere a prezzo più alto….). Ma i mercati finanziari sono il regno della speculazione. Se un giorno la borsa cala del 17% e il giorno dopo risale del 7% non è perché il valore di ciò che viene scambiato subisca cambiamenti per ragioni oggettive, cioè perché il valore reale dei titoli (e dei beni e servizi prodotti dalle imprese rappresentate da quei titoli) si apprezza o si deprezza, ma solo perché schiere di operatori finanziari “scommettono” con dei “click” sul calo delle quotazioni o con altri “click” sul loro rialzo. E non è che le scommesse si concludano con risultati statisticamente discendenti da una oggettiva “roulette”. Oggi vendo a 100, dopo 24 ore ricompro quello stesso titolo a 85, e ho guadagnato 15 senza fare nulla, solo azzeccando il momento “giusto”- Qual è il “valore aggiunto” delle mie operazioni di scambio? Se io compro un titolo azionario perché penso più o meno fondatamente che quell’impresa abbia buone prospettive, o lo vendo perché penso più o meno fondatamente che quell’impresa stia andando male, faccio una normale “operazione di mercato”: posso aver ragione o torto. Ma se improvvisamente tutti o la maggioranza dei titoli perdono di valore non perché le relative imprese stiano andando male, ma solo perché, approfittando di una frase detta da un responsabile, una schiera di “scommettitori” scommette sul calo delle quotazioni in generale, o se quegli stessi titoli guadagnano di valore perché quella stessa schiera poi scommette sul rialzo, non è una normale operazione di mercato: si chiama speculazione, e serve solo ad arricchire senza motivo qualcuno e a impoverire senza motivo qualcun altro.
Ora, che ci sia qualcuno cui piace giocare d’azzardo è noto, e infatti da sempre le leggi cercano di contenere e controllare queste attività nei casinò, reali o online, e si fanno anche molte scommesse clandestine che però sono illecite (e si cerca di combattere le ludopatie). Ma la Borsa no, quella è sempre lecita e anzi le operazioni che vi si compiono sono pochissimo controllate e regolate.
E il peggio è che l’economia reale, la politica e l’informazione si accodano a ciò che la finanza speculativa “detta”. Non è accettabile che una somma di scommesse e di operazioni puramente speculative determinino l’andamento dell’economia dei mercati “veri” (quelli dei beni e dei servizi).
Ecco perché trovo scandaloso che non si regolamentino in maniera molto molto più stringente le borse; che non si adottino severe misure di sospensione delle contrattazioni in situazioni nelle quali l’”andamento” dipende in modo evidente non da fatti reali ma da pratiche speculative; non si vietino del tutto le vendite allo scoperto (leggo che in Italia “lo short selling è assolutamente lecito”, salvo solo temporanei divieti per singoli titoli); non ci si decida a colpire con un prelievo significativo ogni forma di profitto di questo genere.
E trovo ancor più scandaloso che l’andamento di mercati finanziari così fatti condizioni tanto la politica (“Non spaventare i mercati” sembra per molti un obbligo assoluto), e che la speculazione possa giocare impunemente non sulle informazioni reali (le legge combatte l’artificiosa diffusione di notizie), ma su una frase detta e poi sostanzialmente ritirata da un responsabile, e comunque in assenza di fenomeni reali (Lagarde).
La cosa poi che capisco meno è perché i mezzi di comunicazione diano tanto rilievo ad ogni minimo dettaglio dell’andamento delle borse, per cui televisioni generaliste ci informano la mattina di come “aprono” le borse e la sera su come “chiudono” (o il contrario per le borse asiatiche).
Un altro grande discorso dovrebbe aprirsi (ma magari un’altra volta) sul modo in cui la finanza e l’informazione finanziaria condizionano di fatto le scelte di investimento dei piccoli risparmiatori, che normalmente non aspirano ad essere dei giocatori d’azzardo. La Costituzione prevede che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese” (art. 47, secondo comma): non a mercati finanziari speculativi.
Un tema molto attuale, commento di Fabrizio Onida**
Continua a non piacermi l’uso del termine “profitto” per un fenomeno che è di pura “rendita finanziaria” perché il profitto è una cosa seria (ciò che resta dei ricavi dopo aver detratto tutti i costi sostenuti per ottenere quei ricavi). Senza profitti non c’è accumulazione e crescita del sistema, poi naturalmente l’accumulazione e la crescita sarà tanto maggiore quanto più i profitti sono reinvestiti anzi che essere distribuiti agli azionisti per finire nei consumi o nel risparmio delle famiglie.
Quanto e come sarebbe bene limitare le operazioni speculative di borsa argomento su cui non mi sento competente. Mi piacerebbe che il Servizio Studi Bankitalia incoraggiasse qualche bravo giovane e meno giovane a cimentarsi con questo tema.
Parlando di speculazione continuo a pensare che, come per il gioco d’azzardo, la legge potrebbe non vietarlo in assoluto lasciando che le persone soddisfino a piacere la loro propensione a giocare, purchè le conseguenze (alcuni vincono a fronte di altri che perdono) non arrivino a condizionare le scelte del governo e della banca centrale (nel caso di gioco sulle valute e i tassi di cambio). La legge dovrebbe inoltre combattere la ludopatia come vera malattia sociale. Purtroppo un giornalismo troppo diffuso continua ad alimentare la curiosità e i comportamenti dei cittadini che vivono nell’ansia di seguire gli alti e bassi dei titoli di borsa traendone giudizi e previsioni circa lo stato dell’economia reale, che certo è influenzata dagli umori di borsa ma il cui stato di salute dipende da ben altre variabili come la propensione al consumo delle famiglie, i progetti di investimento delle imprese, le decisioni di spesa pubblica e di prelievo fiscale dei governi n risposta alle classiche variabili esogene come gli esiti elettorali, gli shocks climatici, i disordini sociali, le guerre ecc.
** Professore (in quiescienza) di Economia internazionale, Università Bocconi, Milano