Un caffè con Valerio
Post del Comitato Direttivo
Diritto dei migranti e tensione fra politica e Magistratura: basterebbe leggere le sentenze della Corte di Giustizia UE!
In queste ore si sta scrivendo l’ennesima pagina, poco edificante, nella storia dei rapporti fra politica e magistratura in questo Paese.
L’occasione di scontro è – come ormai abbondantemente noto – l’ordinanza con cui il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di alcuni migranti presso il Centro di permanenza e rimpatrio che lo Stato italiano ha realizzato in Albania, con un Protocollo d’intesa ratificato dal nostro Parlamento e trasfuso nella legge 21 febbraio 2024 n. 14.
La decisione giurisdizionale ha imposto, con tratti quasi tragicomici, il rientro dei migranti dall’Albania, dove erano stati “esternalizzati”, nel territorio italiano. Da qui si è sollevato un vespaio di polemiche, con membri del Governo e della maggioranza che ovviamente gridano al complotto della magistratura per ostacolare i piani politici, presuntamente legittimi a priori, dell’Esecutivo Meloni.
Non serviva, invero, molto tempo per leggere le sentenze della Corte di Giustizia (fra cui una recentissima del 4 ottobre 2024, cause riunite C‑608/22 e C‑609/22) e comprendere come le norme europee siano state interpretate, dal massimo organo giurisdizionale a ciò competente, nel senso che non basta decidere in astratto quali Paesi siano sicuri secondo il Governo di uno Stato membro, ma che questa condizione di sicurezza debba essere verificata rispetto alla singola vicenda esistenziale di chi richiede la protezione internazionale.
È evidente, e non serve essere esperti di geopolitica, immaginare che “Paesi sicuri” sottoposti a regimi para-dittatoriali non siano poi così sicuri per dissidenti, appartenenti a minoranze o altro (basti pensare all’Egitto di Al-Sisi, inserito nella lista di Paesi sicuri dall’Italia, malgrado la triste vicenda di Giulio Regeni). Né, per dirne un’altra, Paesi in cui vigono leggi e tradizioni di carattere religioso che in Occidente non consideriamo di stampo democratico (senza esitare a dirlo, quando ci fa comodo) possono costituire davvero “Paesi sicuri”.
A fronte di tutto ciò, la reazione del Governo appare inutilmente veemente e grandemente scomposta.
A parte la figuraccia di dover far rientrare i migranti trasferiti in Albania, con un non irrilevante dispendio di denari pubblici per rendere operativo questo accordo, stupisce che la soluzione alla questione – oltre a gridare al complotto giudiziario – sia quella di trasfondere l’elenco dei Paesi sicuri in un decreto-legge.
Non serve nemmeno discutere se il decreto rispetta davvero i requisiti dell’art. 77 Cost. relativi alla straordinarietà dei casi di necessità e urgenza che legittimano il Governo ad adottare un atto d’urgenza avente natura legislativa. Non serve per il semplice fatto che, per pacifica giurisprudenza europea ed interna, il giudice comune è chiamato a disapplicare le norme interne che contrastino con il diritto europeo, di qualunque grado esse siano, con il limite dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. E, comunque, i giudici italiani devono applicare le norme interpretandole in maniera conforme alle fonti dell’ordinamento europeo, per come interpretate proprio dalla Corte di Giustizia.
In sintesi, cosa significa? Che il Tribunale di Roma, anche se si fosse trovato dinanzi un decreto-legge, avrebbe potuto decidere esattamente come ha fatto, verificando se i Paesi della lista divenuta o prossima a divenire legislativa siano davvero sicuri per tutte le categorie di persone che da essi fuggono.
Il decreto-legge, approvato dal Governo, è in queste ore al vaglio della Presidenza della Repubblica. In base all’interpretazione del potere di rinvio ex art. 74 adottata dal Presidente Mattarella, sembra implausibile un rifiuto di emanarlo. Resta però la possibilità che il Capo dello Stato, garante dell’equilibrio dei poteri e presidente del Consiglio superiore della magistratura, possa elevare la sua voce, con toni pacati – come è suo costume – ma forti, per richiamare il Governo e i suoi parlamentari a discussioni informate, riconoscendo che anche e soprattutto il potere giudiziario è chiamato a dare corpo e sostanza ai limiti pattizi cui l’Italia si è vincolata, oggi sanciti dall’art. 117, comma primo, oltre che all’art. 11 Cost.
Peraltro, sarebbe buona cosa ricordare che – come ha sottolineato la CEI – i migranti non sono pacchi e che in mezzo a queste diatribe ci sono pur sempre delle vite umane di persone che fuggono da Paesi che, per quanto possano essere definiti da qualcuno “sicuri”, restano nondimeno inospitali. D’altra parte, nessuno fugge da dove sta bene.