Riflessioni ad alta voce

Gli uomini, gli Stati, la guerra: nulla societas sine iure

Ottobre 9, 2025

Antonio D’Andrea*

Sarebbe arduo non convenire sulla crisi del diritto internazionale come strumento di contenimento più che di rigetto della forza bruta (in realtà si dovrebbe parlare, attualmente, almeno in qualche caso, di forza letale nel tempo delle armi nucleari di distruzione di massa e delle sofisticate nuove tecnologie, tra missili intercontinentali e droni “invisibili” difficilmente intercettabili) da parte degli Stati sovrani nei confronti di altre realtà (in primo luogo Stati nemici, ma anche entità territoriali aspiranti a divenire tali in virtù di quella che una volta si sarebbe definita “autodeterminazione”). Egualmente, è poco produttivo dimenticare che a questo punto si è giunti partendo dalla progressiva svalutazione dell’operato e dalla incapacità di deterrenza degli organismi internazionali che sarebbero preposti a vigilare ed eventualmente intervenire per impedire e interrompere la violazione dei principi accolti dal diritto internazionale generale: si pensi alla stessa discutibile declinazione che è stata fatta proprio della guerra o delle azioni di polizia internazionale promosse come “giuste” e utilizzate al solo fine di scardinare regimi considerati minacciosi per l’ordine
internazionale costituito. È altrettanto evidente che nessuno ha mai negato le imperfezioni (nate intorno ai reali rapporti di forza tra le Potenze mondiali) nel dare vita, nel secondo dopoguerra, grazie all’ONU, a un diritto universale tra i popoli basato sulla piena valorizzazione dei diritti della persona e sulla convinta adesione da parte di tutti gli Stati aderenti ai principi di civiltà incentrati sul rispetto di culture differenti ovunque collocate nel Mondo, ciascuna con la sua storia e le sue tradizioni, spesso non conformi ad esempio con il costituzionalismo occidentale.
Quel che, tuttavia, può essere detto a proposito del rispetto del diritto internazionale generale (come pure di origine pattizia che investe solo alcuni Stati sottoscrittori), ovviamente a partire dalle deliberazioni dell’ONU, è che esso resta pur sempre incentrato sulla pratica osservanza delle sue regole da parte degli Stati sovrani. Non basta dunque constatare l’esistenza di una regola che valga inconfutabilmente sul piano internazionale tanto più che la stessa esistenza di una funzione giurisdizionale per contrastare quella violazione e persino, sul piano penale, destituire e condannare coloro i quali si rendano autori di “crimini internazionali” (è noto, in effetti, che operano da qualche tempo su scala internazionale Corti e Tribunali,
sebbene non sempre riconosciuti dagli stessi Stati che consideriamo rientranti nelle c.d. democrazie occidentali, quali gli Stati Uniti), passa, alla fine, inevitabilmente per una accettazione da parte dei singoli Stati di determinazioni che valgono nei confronti di chi ha avuto, e ha, preminenti responsabilità istituzionali in Paesi alleati (emblematico il caso di Netanyahu raggiunto da un mandato di arresto da parte
della Corte penale internazionale dell’Aja). Non è il momento, almeno in questo scritto, per tornare su fatti e vicende che non solo turbano il Mondo e lo espongono a rischi enormi che sembravano, se non scongiurati, certamente attenutati, almeno con riguardo al Vecchio Continente e neppure ho l’impressione
sia produttivo, quantomeno da parte di giuristi, allontanarsi dalla propria specifica funzione, che resta quella di richiamare incessantemente il senso e il significato profondo del primato ontologico del diritto sulla sua sistematica, opportunistica, demolizione che investe, in verità, non solo la forma più avanzata e sofisticata rappresentata dal diritto internazionale (non a caso e non certo per sminuire il valore riconosciuto come soft law). L’affermazione ricorrente secondo la quale stiamo assistendo alla “morte” del diritto internazionale occorre sperare che sia esageratamente pessimistica e almeno andrebbe confutata da chi per mestiere non si occupa solo di dare notizie e di commentarle alla luce di altre sensibilità rispetto a quelle che coinvolgono il giurista. Certamente si tratta di una crisi conclamata e questa non è affatto una buona notizia alla quale si risponde invitando a porvi rimedio, se non altro come auspicio che torni quantomeno a mostrare cenni di vitalità. Ed allora sarebbe doveroso, non tanto minimizzare affermando che il diritto vale “sino a un certo punto”, ma dimostrarsi responsabilmente orientati – come esponente di punta del Governo del Paese – a porre un argine ad una deriva pericolosa che pregiudica la stessa cultura democratica occidentale.

Valerio Onida ha sempre sostenuto che tra i principi ispiratori della Costituzione italiana occorre considerare, tra gli altri, quello internazionalistico: parlava, senza titubanze, dell’apertura nel nostro ordinamento statuale di una finestra sul Mondo, senza alcuna nostalgia sovranista. Riprendendo le parole dello stesso Onida, «è significativo che l’unico altro luogo in cui la Costituzione impiega il termine «sovranità» è proprio l’art. 11, e lo impiega per affermare la necessità di «limitazioni» della sovranità stessa. Non ha dunque più ragione di essere, nel costituzionalismo che si è affacciato alla fine della seconda
guerra mondiale, nemmeno la piena sovranità esterna di Stati nazionali, chiamati solo a promuovere gli interessi specifici di ciascuna nazione. Non ha più giustificazione il nazionalismo, come lo abbiamo conosciuto fino a quel momento, e come nei fatti ancora da tante parti viene invocato e praticato» (V. ONIDA, Le parole della Costituzione repubblicana, in G. MELIS, G. TOSATTI (a cura di), Le parole del potere. Il lessico delle istituzioni in Italia, Bologna, Il Mulino, 2021, p. 57). E, in effetti, è innegabile che sul piano dei principi costituzionali (e della loro stessa implementazione: si pensi al primo comma dell’articolo 117, dopo la modifica del 2001), grazie anche alla progressiva attività della nostra Corte costituzionale, nessuno almeno tra i giuristi dovrebbe dubitare della prevalenza delle norme internazionali, a cominciare da quelle europee, su quelle interne, ove queste contrastino con le prime. Questa è la regola vigente e occorrerebbe il suo integrale rispetto da parte di tutti gli attori chiamati a svolgere funzioni di indirizzo politico e di controllo sullo stesso.
I cupi scenari che avvolgono il Mondo e gli orrori della guerra, la stessa necessità di dover prendere atto che nulla è più scontato a proposito della possibilità di costruire una pace giusta e duratura tra i popoli e la stessa perniciosa affermazione, per via elettorale, di leadership “anomale” e incredibilmente predisposte ad allontanare la visione universalistica dell’esistenza umana – come se il passato tragico non fosse già stato sperimentato – non devono incrinare, o peggio farci dimenticare, che il diritto, anche quello internazionale, forse non è in grado di assicurare una società libera dall’oppressione dei tiranni, ma che senza il diritto ciò che può profilarsi è il loro possibile ritorno, persino in pompa magna e con tanti applausi.
Un’ultima notazione: come è noto, una vulgata ricorrente per giustificare strappi, e comunque scelte non in linea con quanto prescritto dalle regole vigenti, è quella di fare ricorso alla categoria della emergenza e/o della necessità, quasi come se il diritto vigente possa restare sospeso per contingenze inattese, complicate, che andrebbero fronteggiate extra ordinem. In realtà, almeno a mio parere, non esistono alcuna emergenza e alcuna necessità che non siano già contemplate dalle regole costituzionali vigenti; fuori dalla legalità costituzionale c’è l’azione o l’inazione di soggetti, singoli o collettivi che siano, che agiscono al di fuori di vincoli giuridici prestabiliti e, dunque, fuori da qualsiasi forma sostanziale e procedurale di carattere legale.
Si esercitano, in tali casi eventualmente, poteri di fatto da chi ha la “forza” per imporre la propria volontà. In sostanza, non una buona cosa e, in ogni caso, nessuna giustificazione a questo modo di fronteggiare fatti e vicende dolorose che pure possono riguardare il nostro Paese e il Mondo.

*Professore ordinario in Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Brescia

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